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26 giugno 2016

Qual è lo stato della ricerca ecumenica dell’unità cristiana? Come questa ricerca si lega al lavoro per la giustizia e la pace? Che cosa si può dire della Chiesa in questo contesto?

Queste domande hanno costituito l’oggetto della seduta plenaria del Comitato centrale del CECvenerdì 24 giugno 20116 a Trondeim, Norvegia.

Odair Pedroso Mateus, direttore della Commissione Fede e Costituzione, ha difeso con forza l’idea che solo una visione comune della Chiesa possa togliere gli ostacoli all’unità cristiana e condurre a una comprensione comune del lavoro dei cristiani nel mondo

Sotto la presidenza di Mary Anne Plaatjies van Huffel, dell’Africa del Sud, la discussione si è svolta soprattutto sul documento di convergenza: «La Chiesa: verso una visione comune» e sulla recezione di questo testo da parte delle Chiese.

«Sono le Chiese che voi appresentate, ha detto Mateus ai delegati, che devono reagire a questo documento, dicendo alle altre Chiese se riconoscono in questo testo la loro visione  della Chiesa e, in caso affermativo, come possono costituire relazioni più strette.

Per Mateus assumere il documento  «La Chiesa: verso una visione comune» consiste «in un dialogo calmo, ma prezioso ed essenziale, una specie di «ecumenismo spirituale» nel quale le Chiese «scopriranno le une nelle altre elementi ecclesiali di santità, di cattolicità e di apostolicità, che saranno senza dubbio stati conservati malgrado le divisioni e le grandi diversità»

Marina Kolovopoulou, della Chiesa di Grecia, nella sua introduzione al documento e ai 20 anni di preparazione che l’hanno preceduto, ha sottolineato il modo con cui il documento può essere utilizzato nelle Chiese per prendere coscienza della verità – e dei punti deboli – nel modo in cui la propria tradizione si è appropriata, su piano ecclesiologico, degli elementi della grande Tradizione

In un certo qual modo , ha detto, l’ecclesiologia è la dottrina più difficile, e il documento stesso «non esprime un consenso totale, ma indica i punti di convergenza e i campi da affrontare». Ancorata nella nozione di comunione – in Dio, nelle Chiese locali, nella Chiesa in se stessa – l’importanza teologica del documento consiste nel fatto che rivela «la verità che noi ci dobbiamo reciprocamente» quanto al modo in cui ciascuna Chiesa si percepisce e vede la sua propria tradizione, nonché il suo bisogno di rinnovamento.

Infatti, secondo Sheilagh Margaret Kesting, della Chiesa di Scozia, la risposta della sua Chiesa al documento, composta in comune con la Chiesa cattolica, rivela il bisogno di andare al di là del testo stesso. Per crescere nell’unità «non basta che ci accontentiamo di studiare il testo», bisogna trovare mezzi concreti di lavoro insieme e usarli pubblicamente».

Andrzej Choromański, del Consiglio pontificio per la promozione dell’unità dei cristiani, vede in questo documento «un passo avanti verso la piena e visibile unità della Chiesa». Egli ha illustrato il processo attraverso il quale il Consiglio pontificio ha ottenuto le risposte ed ha cominciato a formulare la propria. Si è detto sorpreso ed entusiasta delle valutazioni ampie e serie del testo, da parte cattolica, di gruppi di insegnanti, di conferenze episcopali e di organizzazioni ecumeniche nel mondo intero. Tutto ciò arricchirà la risposta del Consiglio.

Susan Durber, pastora della Chiesa riformata a Taunton e moderatrice della Commisione  Fede e Costitizione, ha insistito più di tutti sull’importanza concreta di questo progetto. «L’ecclesiologia è importante, ha detto. Il testo è l’opera di mani sporche della polvere della vita quotidiana, è il frutto preoccupato per la sofferenza umana e dei cuori che piangono per chi manca».

Susan Durber ha espresso la sua gratitudine perché il documento ha superato una fuorviante separazione fra l’essere e l’azione della Chiesa. Riassumendo il nodo dinamico e l’importanza vitale del documento, ha dichiarato: «C’è Dio che ha una missione per il mondo – si tratta di ripararne la fragilità e la sofferenza – e Dio in Cristo ha chiamato la Chiesa a prendere pare a questa missione. Per prendere parte alla missione di Dio, dobbiamo essere guariti noi stessi, bisogna che sia riparata la nostra stessa fragilità, che le nostre divisioni siano vinte, affinché siamo segni e servitori di questa missione per il mondo. Ecco perché l’ecclesiologia è importante».

A suo avviso, l’unità cristiana ha un oggetto molto concreto e una pertinenza del tutto attuale. «Bisogna che la Chiesa sia rinnovata e riceva da Dio il dono della comunione, perché siamo testimoni di questo dono nel mondo. Perché pensiamo che c’è una Chiesa se non per servire il grande disegno di Dio nei riguardi del mondo, per, in una maniera o nell’altra, riflettere questa relazione d’amore in un mutuo scambio della Trinità, santa e benedetta, e per partecipare all’opera di Dio di riparazione di un mondo spezzato?».