Comunicato stampa n.8
Nell’ambito della Sessione di formazione ecumenica del Sae, in corso ad Assisi fino a sabato, la basilica superiore di San Francesco ha ospitato il Vespro ortodosso presieduto da Sua Eccellenza Athenagoras Fasiolo, vescovo di Terme, della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia del Patriarcato Ecumenico. Con lui all’altare l’arciprete Traian Valdman e padre Vladimir Zelinsky, amici e collaboratori da decenni del Segretariato attività ecumeniche. Hanno condiviso il canto padre Gabriel Codrea e padre Stefan Andronache, parroci a Verona e relatori alla sessione.
«Abbiamo cantato un antichissimo inno della Chiesa dei primi secoli, Luce gioiosa – ha detto al termine della celebrazione Athenagoras -. È uno dei più antichi inni trinitari della chiesa indivisa dei primi secoli, quando ancora non c’erano state le grandi formulazioni dogmatiche sulla Trinità dei primi concili ecumenici, e la potenza dello Spirito Santo già faceva comprendere ai cristiani della Chiesa nascente l’importanza di lodare Dio come Padre Figlio e Spirito Santo». Il vescovo ha affermato che questa è la certezza al di là delle divisioni tra i cristiani, delle pochezze umane e della capacità di comprendere.
«Dio in un modo o in un altro, Dio ci manifesta la sua grandezza - ha continuato -. Cosa ci chiede? Ci chiede di farci santi, santi come i primi cristiani si chiamavano l’un l’altro; ci chiama a diventare tutt’uno con lui. Essere tutt’uno con lui significa che ogni differenza, ogni appartenenza, ogni problematica scompare di fronte al Signore. Certo le differenze storiche, le problematiche sono sorte tra di noi per i nostri peccati. Chi avrebbe pensato che un piccolo uomo in odore non proprio di sanità per la chiesa del tempo creasse una rivoluzione come fu quella di Francesco di Assisi? Quanti altri esempi abbiamo nella storia della Chiesa. A noi è chiesto forse un carisma in più».
Fasiolo ha invitato a riflettere su questo carisma «perché siamo tutti appassionati all’unità visibile della Chiesa. L’ecumenismo ha avuto vari stadi. Tanti anni fa c'era la voglia di incontrarci, di amarci, di discutere, di riscoprire la gioia della preghiera. Piano piano l’entusiasmo è andato via via calando, e siamo arrivati a un momento in cui le chiese hanno iniziato a intraprendere dialoghi teologici, a essere prese al loro interno dai vari problemi della storia dell’uomo, a dire “va bene l’ecumenismo, ma già ci amiamo, non è importante se non riusciremo a raggiungere facilmente l’unità”.
Siamo passati a una seconda fase in cui l’unità si è pensata come qualcosa che poteva rimanere com’era. La forza dell’ecumenismo è diventata partecipare ad alcune questioni che la vita di ogni giorno ci poneva davanti: impegnarci per la pace, per l’ambiente, per le questioni che si presentavano via via, dimenticando l’assioma fondamentale dell’incontro tra le chiese: arrivare non all’uniformità ma all’unità nelle cose essenziali, per ritrovarci nell’unico segno tangibile del corpo e sangue di Cristo. Abbiamo la stessa Scrittura ma a volte riusciamo a dividerci anche su questa.
Allora forse oggi abbiamo bisogno nuovamente di essere cristiani sorridenti, che testimoniano attraverso una vita gioiosa, illuminata, santa nella preghiera. Solo così, solo se saremo santi saremo luce e sale per la terra».
Athenagoras ha terminato l’omelia con un invito: «Siate cristiani felici, gioiosi, abbiate davanti a voi la risurrezione. La croce è importante se ci porta alla risurrezione. La croce per sé stessa non ha significato. Vogliamo essere figli della luce e della risurrezione».