Comunicato stampa n.6

Prosegue la sessione di formazione ecumenica del Sae al Monastero di Camaldoli. Convergenze e specificità sono emerse nella tavola rotonda a tre voci “Chiese in dialogo per la salvaguardia del creato” con Vladimir Laiba, proto presbitero della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia e membro del Gruppo teologico del Sae; la pastora valdese Letizia Tomassone, docente di studi femministi e di genere alla Facoltà valdese di teologia di Roma, e Domenico Pompili, vescovo di Verona e presidente della Commissione episcopale Cultura e comunicazioni sociali della Cei.
Comune è la convinzione che la crisi ecologica non sia solo una crisi materiale, ma una crisi morale e spirituale causata dalla perdita della connessione tra l’essere umano, il Creatore e il creato. Si vive come individui e non come persone in relazione e si mettono in atto meccanismi predatori nei confronti dei propri simili e della natura. «L'uomo di oggi sottomette a sé in modo sconsiderato e brutale la creazione di Dio e se ne dichiara il proprietario. A Dio e alla creazione viene negato ogni diritto» ha affermato Vladimir Laiba, che ha poi citato il teologo evangelico Jürgen Moltmann. Il teologo «credeva che fosse necessario definire, oltre ai diritti umani, i diritti dell'umanità, i diritti della natura, i diritti del Creatore. Se ciò non avviene, c’è il pericolo che l’ampliamento quasi quotidiano del catalogo dei diritti umani minacci seriamente il pianeta Terra e, quindi, i diritti umani stessi».
Nella liturgia il presbitero ortodosso rintraccia un’esperienza di comunione con la Trinità e con il creato i cui frutti vengono presentati al Creatore come lode, ringraziamento ed espressione d’amore. «Una nuova civiltà dovrebbe basarsi su questa esperienza liturgica di relazioni con il mondo e le altre persone. L'esperienza liturgica dovrebbe permeare tutta la nostra vita quotidiana, nella cultura, nella scienza, nell'arte, in tutto, così che il mondo intero diventi una Liturgia cosmica - per usare le parole di San Massimo il Confessore». Secondo la tradizione ortodossa «l'uso del mondo e l'uso dei beni materiali devono essere effettuati nel modo eucaristico, cioè dossologico. L’amore per i beni materiali non deve paralizzare ogni amore per la verità, per la giustizia, per il bene, per gli altri, per Dio».
Laiba vede nella teologia una grande responsabilità rispetto alla soluzione della crisi ecologica: «La teologia può raggiungere questo obiettivo offrendo un importante contributo alla soluzione del problema solo se diventa teologia eucaristica, che scaturirà dall’esperienza eucaristica, dal dialogo e dalla cooperazione con le altre scienze e soprattutto dal dialogo interreligioso e intercristiano».
Il cammino delle Chiese protestanti raccoglie diversi paradigmi e non un solo modo di pensare il rapporto tra gli esseri umani, il divino e l’ambiente e il cosmo, ha esordito Letizia Tomassone. «Sono più di sessant’anni che il mondo protestante si confronta con le scienze, penso al teologo Lukas Vischer che organizzava incontri tra teologi e scienziati per dare conto che l’umanità è parte dell’ecosistema, vive e deve vivere in una relazione continua con l’ecosistema, e tutto ciò che lo distrugge, distrugge l’umanità».
L’ascolto delle voci delle piccole chiese delle isole del Pacifico che sono a rischio a causa dell’innalzamento dei mari e che nelle loro liturgie sottolineano la catastrofe incombente, o delle popolazioni che negli Stati Uniti lottano contro il razzismo ambientale, per cui le discariche di rifiuti tossici vengono costruite nei quartieri dove vivono le minoranze, per la teologa è stata una benedizione che ha suscitato nelle chiese un atteggiamento di pentimento e ha invitato alla conversione del cuore. La questione della giustizia climatica, e della giustizia in generale, è una preoccupazione costante delle chiese protestanti. Ha continuato Tomassone: «Il dialogo stretto con gli scienziati e con chi elabora dei paradigmi etici per le tecnologie significa entrare in una relazione che da un lato ascolta le voci di chi è schiacciato e dall’altro è attenta alle possibilità di trasformazione del nostro mondo attraverso le tecnologie e le scienze».
Nel documento “Ogni parte della creazione conta”, prodotto da una Commissione del Consiglio ecumenico delle Chiese, citato dalla teologa, emergono le visioni ortodosse e protestanti. Entrambe le confessioni ritengono che la salvezza umana e della natura vanno insieme. L’interconnessione è presentata come uno dei paradigmi delle teologie eco-femministe, ma mai come una interconnessione in cui i soggetti sono passivi. Gli esseri umani, che sono collocati in una posizione seconda, cioè derivata, sono definiti “co-creatori creati”, termine che ripristina il triangolo umanità-terra-presenza divina.
Tomassone ha proposto tre paradigmi teologici che si sono sviluppati: l’“Incarnazione profonda” del teologo luterano danese Neils Henrik Gregersen che vede l’incarnazione di Cristo come entrare e assumere l’intera gamma dell’esistenza materiale e biologica. La “coscienza ombelicale”, sviluppata da un teologo dell’Oceania, che enfatizza la coscienza ombelicale come coscienza di connessione, disconnessione e riconnessione. Questa riconnessione spesso manca nella cultura occidentale dove predominano le dinamiche della separazione. Infine la riflessione del teologo biblista Richard Bauckham: la nostra speranza non può mai risiedere nel progresso umano, nella tecnologia, ma riposa nell’azione di Dio sul rinnovamento del mondo. È una speranza profondamente sovversiva perché ci fa riscoprire il fatto che noi lavoriamo sempre nella dimensione del penultimo, ma c’è una dimensione ultima che sta oltre il nostro agire e che ci mette in una posizione di umiltà.
Nella sua relazione Domenico Pompili ha evidenziato come la Laudato si’ si ponga nella scia della dottrina sociale della Chiesa cattolica che vede come fari la Populorum Progressio, la Sollicitudo rei socialis e la Caritas in veritate. La Laudato si’, testo dirompente dedicato all’ecologia integrale, precisa il fatto che «una nuova ecologia umana ha bisogno di contemplazione e non solo di tecnologia. Economia ed ecologia, due ambiti discorsivi ormai tecnicizzati, sono riportati alla loro radice antropologica e teologica: la “casa comune” di tutti gli uomini di buona volontà, credenti e non credenti. Solo a condizione di essere capaci di fermarci a guardare ed ascoltare, o, meglio, a contemplare, oltre le nostre sempre più potenti capacità di fare e di agire, possiamo riconoscere le contraddizioni alle quali ci troviamo esposti».
Per effettuare il cambio di passo di cui c’è bisogno occorre «ricomporre su basi nuove la possibilità di espressione dell'io con la cura del contesto circostante; l'organizzazione dei sistemi tecno-economici con le esigenze dell'ecosistema; le nostre certezze scientifiche con lo spazio del mistero».
Per definire l’autentico sviluppo umano, a partire dalla proposta di papa Francesco, il vescovo ha delineato tre tratti di un’ipotesi di lavoro: il principio per cui “tutto è connesso” che è stato contrastato nella modernità dalla separazione tra Zoè e Biòs, la vita comune a tutti gli esseri viventi e la maniera di vivere di un singolo o gruppo. «La conferma sul piano concreto di tale separazione che compromette l’originaria forma di interconnessione - ha continuato Pompili - è data da una serie di fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti: la separazione tra economia e società, la separazione tra economia e lavoro, la separazione tra economia e democrazia». Rispetto al primo, «non vi è dubbio che negli ultimi trent’anni i dati della diseguaglianza sociale interstatale e intra-statale abbiano registrato aumenti scandalosi. La ricchezza è aumentata obiettivamente in senso assoluto, ma la sua distribuzione non ha avuto effetti riequilibranti». Rispetto al secondo «il fenomeno della finanziarizzazione crescente ha prodotto una distorsione di fondo: non è più il lavoro che crea la ricchezza, ma questa si autoriproduce in forme sempre più virtuali che riducono la variabile umana ad un costo emergente, da ridurre sempre di più con drastici aggiustamenti strutturali». Rispetto al terzo, «la separazione tra economia e democrazia per effetto di una verticalizzazione dei rapporti in nome di una tecnica sempre più raffinata ed auto centrata. Di fatto la globalizzazione dei mercati per effetto di internet ha largamente annullato il potere di controllo degli Stati che sono di fatto messi all’angolo e ridotti ad una funzione notarile che prende atto di ciò che altrove viene gestito e ancor prima deciso».
Il secondo tratto dell’ipotesi di lavoro, comune alle altre confessioni, è che la crisi ecologica, oltre che materiale, è etica e spirituale «perché alla morte dei boschi attorno a noi fanno da pendant le nevrosi psichiche e spirituali dentro di noi, all’inquinamento delle acque corrisponde l’atteggiamento nichilistico nei confronti della vita. Più che nelle radici ebraico cristiane, il mito del progresso va ricercato nella nuova religione della modernità, ovvero nell’idea che l’uomo moderno si è fatta di Dio. In particolare, la scarsa attenzione al tema della creazione. Se si fosse tenuto al centro questo dato si sarebbe stati più sensibili alla questione della natura e del suo impellente dovere di custodia e di salvaguardia».
Pompili delinea tre momenti di una nuova visione teologica che ha come perno la riscoperta della creazione: «nel primo si fa strada una nuova spiritualità cosmica, a partire dalla rimessa a fuoco del Dio Unitrino; nel secondo si prendono in considerazione le più recenti ipotesi scientifiche che raffigurano la terra non come un recipiente inerte, ma come un organismo vivente; nel terzo si configura quindi un nuovo e più armonico rapporto tra l’uomo, la natura e Dio e come conclusione si auspica una pausa sabbatica, che aiuti a riscoprire la vera dimensione e l’autentica vocazione del creato, e in primis dell’uomo».
Ultimo tassello dell’ipotesi di lavoro: occorre passare da una concezione individualistica dell’essere umano, ridotto a predatore e consumatore, al concetto di persona che abbia la capacità di dare vita a relazioni con altri e altre, con i quali riconoscersi reciprocamente come soggetti liberi e responsabili. Monsignor Pompili, ideatore nel 2018 con Slow food delle Comunità Laudato si’, ha parlato di questi gruppi di uomini e donne, oggi sono settantasei in diverse regioni italiane, che sul loro territorio «si mobilitano, promuovono iniziative, creano momenti di coscientizzazione. Ma soprattutto presidiano il territorio intervenendo laddove sono in gioco questioni eticamente rilevanti: inquinamento, sfruttamento del territorio, ecomafie. Si tratta di gruppi che fanno opinione e costituiscono un “segno” di non subalternità al pensiero che nega la crisi climatica per partito preso».