Comunicato stampa n.11
La 59a sessione di formazione ecumenica del Sae ad Assisi ha dedicato una serata alla figura della fondatrice dell’associazione e al volume che è stato pubblicato quest’anno dall’Istituto di studi ecumenici San Bernardino nella collana “Quaderni di studi ecumenici”. L’opera, intitolata “Maria Vingiani: esplorare le vie dell’incontro. Tra ecumenismo e dialogo ebraico-cristiano”, raccoglie gli atti degli eventi nel centenario della nascita di Vingiani promossi nel 2021 dall’Università Ca’ Foscari, dall’Ise, dal Sae e dalla Facoltà valdese di teologia, e suoi testi. All’incontro sono intervenuti i due curatori, Piero Stefani e Simone Morandini, il pastore valdese Paolo Ribet e Donatella Saroglia, uno dei membri del Comitato esecutivo del Sae.
La fondatrice del Sae, ha detto Morandini presentando l’incontro, «ha fatto crollare bastioni di diffidenza e ha aperto strade di dialogo, in un percorso iniziato prima del Concilio, proseguito a Roma all’annuncio dell’evento conciliare, e da lì tutto è cominciato». La seconda parte del volume, che è «un testo su Maria e di Maria», è una selezione tematica e cronologica dei suoi testi sull’ecumenismo e uno sul dialogo ebraico cristiano. «Questi scritti fanno vedere in filigrana come è cambiato il nostro stile ecumenico e come si è evoluto il linguaggio».
Piero Stefani, già presidente del Sae e membro del suo gruppo teologico, biblista esperto di ebraismo, ha commentato l’introduzione di Giovanni Vian che presenta analogie con il tema della sessione. «Maria Vingiani è stata una figura singolare ed eccezionale agli inizi del suo impegno in un tempo in cui le donne erano relegate in ruoli minoritari. Si laureò con una tesi su un’antica controversia dottrinale, intraprese un’esperienza politica d’avanguardia nella sua città, non seguì i modelli cattolici di sposa o monaca, si dedicò interamente all’ecumenismo. Il patriarca Piazza, quando Vingiani lo interpellò per dirgli che voleva frequentare ambienti protestanti, ancora proibiti ai cattolici, le rispose: “Bambin mio ti vol proprio perderte?”».
Gli eventi del centenario a Venezia, ha continuato Stefani, hanno posto un accento particolare sul dialogo ebraico-cristiano per l’intuizione profonda di Maria che il dialogo ecumenico comincia con il dialogo ebraico cristiano. A Venezia avvenne il primo incontro con lo storico ebreo Jules Isaac, prologo della fase successiva in cui Maria riuscì a farlo incontrare con Giovanni XXIII, incontro foriero di un cambio di passo della Chiesa cattolica verso gli ebrei iniziato con il paragrafo 4 della Nostra Aetate».
Per Donatella Saroglia, che ha invitato a leggere preliminarmente la Memoria storica della fondatrice, «Maria Vingiani è stata una donna da imitare. Non era un “santino”, sapeva trasmetterti emozioni forti e dava direttive molto precise. Non era mai contenta né di sé stessa né degli altri. Era una visionaria e aveva un progetto. Era una donna in ricerca che insegnava agli altri a mettersi in ricerca. Dal mio punto di vista è una figura attuale e di ispirazione per le persone più giovani grazie alla sua capacità di leggere e interpretare i segni del suo tempo, al desiderio di guardare oltre il confine e fare passi coraggiosi. Le sue lettere a vescovi, preti, pastori e rabbini avevano due livelli: un’alta carica umana e un alto contenuto concettuale, due aspetti che costituiscono la spina dorsale del Sae».
La sessione è una stratificazione di livelli: non è solo convegno ma anche preghiera, liturgia, laboratorio, incontro. In essa Maria Vingiani «concepiva la messa in pratica completa della sua visione dell’ecumenismo: un’esperienza di fratelli e sorelle che vivono insieme, imparano a parlare e a litigare sempre nel rispetto e nella capacità di riconoscersi come fratelli e sorelle».
Saroglia ha messo in luce anche l’aspetto di genere: «Nonostante venisse da un’epoca in cui il linguaggio non era inclusivo, è sempre stata una donna che ci teneva alla sua collana, ai capelli. In un’epoca maschilista non voleva scimmiottare un uomo. Una delle caratteristiche del suo impegno è stata la laicità che, in quanto donna, aveva un valore aggiunto. Così è stato per sue coetanee care al Sae come Adele Salzano, Clara Achille Cesarini, Chiara Vaina. Donne che hanno riscoperto la loro essenza cristiana nell’espressione della laicità, nella libertà di essere figlie di Dio attive e propositive».
Paolo Ribet ha ricordato il suo primo incontro con il Sae che avvenne nella sessione estiva del 1980. «Era un periodo particolare nella Chiesa valdese: si contrapponevano due posizioni: una molto critica verso il cattolicesimo e il Concilio, come quella del teologo Subilia, l’altra più aperta, come quella del pastore Vinay. La mia formazione su questo tema era tra le due, tanto più che il mio maestro di ecumenismo era l’umile e coraggioso don Mario Polastro, impegnato nel movimento dei Foyers Mixtes. Invitato alla Mendola, sono partito e arrivando ho trovato, soprattutto da Maria, accoglienza, libertà, fraternità. Mi faceva sentire importante e mi ha fatto sentire a casa mia».
La condizione di marginalità da cui Maria proveniva e da cui ha scelto di partire, ha continuato Ribet, «si è rivelata feconda. Essere donna laica in un mondo di uomini ai margini della Chiesa le ha reso possibile l’incontro con gli altri. Maria Vingiani ha fatto da ponte perché si è messa ai margini».
Alle sessioni del Sae è stata superata la teologia del ritorno per un cammino di conversione cristocentrica e bibliocentrica, sulla quale Vingiani insisteva opponendosi all’ecclesiocentrismo. Ha spiegato Ribet: «L’ecumenismo è la conversione a Cristo di tutte le chiese. Troppo spesso mettiamo al centro il fatto che ognuno deve rimanere com’è. Se c’è un cammino di conversione tutti dobbiamo diventare diversi nella dimensione del Regno di Dio sotto la potenza dello Spirito Santo. Ho l’impressione che lo Spirito Santo ci dica “alzati e cammina”. Forse le teologie sistematiche devono leggere anche qualche commentario. La conversione passa attraverso una lettura profonda e moderna della Bibbia».
Dalla memoria, il pastore è passato al presente delle Chiese e dell’ecumenismo: «Dopo la caduta del muro nel 1989 il Consiglio ecumenico delle Chiese è diventato muto, non è riuscito a realizzare qualcosa di produttivo. Oggi le chiese si ritirano in sé stesse e il riferimento alla Confessione di fede ha lasciato posto alla confessionalità. Ho la sensazione che oggi le divisioni siano soprattutto sui ruoli delle donne, sui diritti delle persone omosessuali e sull’etica; ci si divide anche all’interno delle stesse Chiese. La Chiesa metodista americana si è spaccata sul ministero femminile. Concludo con una frase polemica: temo che il patriarca di Mosca Kirill non sia il solo a pensare che questi siano i grandi problemi della Chiesa di Cristo e che valga la pensa scatenare una guerra perché vengano estirpati».