Comunicato stampa n.9

La tradizionale tavola rotonda interreligiosa della sessione Sae, quest’anno sul tema “Religioni e Terra”, ha avuto come relatrici la bramina induista Jaya Murthy, un gradito ritorno; la monaca zen soto Elena Seishin Viviani, alla sua prima esperienza alla sessione di formazione ecumenica, e, come relatore, il teologo musulmano Adnane Mokrani, una voce nota e apprezzata al Sae.
Introdotto e moderato dal teologo Simone Morandini, del Comitato esecutivo, l’incontro ha fatto emergere in un clima armonico una convergenza di visioni e sensibilità, oltre a elementi teologici e culturali propri di ciascuna tradizione. L’intervento della bramina, laureata in economia in India e residente da anni a Pisa, è stato anticipato dal canto di un’esperta della lingua kannada, parlata nell’India sud occidentale, sul tema della terra e dei compiti dell’umanità, e dalla visione di una danza sacra svolta da una monaca del monastero induista Matha Gitananda Ashram di Altare (SV).
Jaya Murthy, dopo una preghiera a Ganesha, «colui che toglie ogni ostacolo alla vita spirituale e materiale», ha spiegato a grandi linee i pilastri e il pantheon della religione induista, che valorizza gli elementi naturali. «Ogni esistenza in questo mondo nasce dalla terra, luogo d’origine a cui dobbiamo ritornare. Per un induista tutto è sacro: la terra e le cose animate e inanimate. L’uomo è ospite o figlio della terra. La terra è indubbiamente la madre e il fondamento da cui emergono tutte le esistenze. Ecco perché è considerata come una dea speciale». Per l’induismo la terra non è solo natura, «anzi è una parte dell’uomo, uomo che non può vivere senza la terra, così come non può vivere senza il corpo. La terra è l’abitazione su cui l’uomo vive, danza, parla, ha costruito le autostrade. La tecnologia moderna ha velocizzato il sistema dei trasporti. Siamo arrivati al punto di consultare l’intelligenza artificiale per tutto. Chissà se, chiedendo qual è la strada per il paradiso, ce la indicherà!». La bramina ha citato un verso del Cantico delle Creature di san Francesco d’Assisi per mostrare l’affinità con il cristianesimo sulla concezione della terra come dono di Dio.
Il compito dell’essere umano, nella religione induista, è seguire il Dharma, la legge morale, per vivere un rapporto corretto con la terra e con gli altri esseri che la abitano e la costituiscono. Viene chiesto di avere rispetto per la terra, prestare attenzione al cibo, fuggire i vizi, praticare le opere buone, pregare il Creatore, promuovere i valori umani. «Lo scenario attuale ci mostra il vero stato del mondo. Tutti dobbiamo lavorare per la pace; in questa direzione la casa ha il primo posto, il prossimo è la scuola, ogni goccia fa il mare, tutti dobbiamo lavorare tenendo in mente di praticare i cinque valori umani: satya (verità), dharma (legge), shanthi (pace), prema (amore gratuito) e ahimsa (nonviolenza). Ama tutti, servi tutti. Per me il primo gradino è abbracciare il vegetarianesimo. Poi avere fede, credere in Dio, e offrire le nostre azioni a lui senza aspettare nessun compenso».
«Oggi parlare di buddhismo è anacronistico: ci sono tanti buddhismi che si ritrovano nel risveglio del Buddha» – ha esordito Elena Seishin Viviani la cui organizzazione unisce sessantacinque centri di tradizioni buddhiste con differenziazioni al loro interno (zen, mahajana, tibetana, therawada e altri). «Raimon Panikkar afferma che il buddhismo è un’ortoprassi. Dobbiamo tenere conto di una preziosità di interpretazioni e di attitudini verso l’ambito religioso. Il Buddha dharma è una religione a tutti gli effetti: contiene il mito, il rito e il sacro. Il fatto che una religione non nomini Dio non vuol dire che non parli di assoluto». La monaca non disconosce le proprie radici cristiane che hanno lasciato tracce nella sua pratica. «Se devo spiegare la parte contemplativa nel buddhismo spesso uso parole che sono comprensibili a tutti come la grazia. La grazia è un’apertura a 360 gradi. Mi metto in una condizione di accoglienza». Bresciana, Viviani osserva che in Italia si sta generando e trasformando un buddhismo che, pur entrando in relazione diretta con le altre esperienze, non nega i contenuti fondanti di questa religione che è rappresentata con il fiore di loto, che ha radici che crescono nel fango e poi sboccia verso il cielo, a dire la condizione umana che riconosce in sé la divinità.­
Il buddhismo riconosce una interdipendenza tra gli esseri senzienti, gli animali, gli alberi, la materia inanimata. «Parlare di crisi energetica ha profondamente a che fare con la crisi spirituale; la terra siamo noi, ci riguarda» ha detto la monaca che trova necessario coordinare visione e azione, evitare dualismi ricercando pratiche che tengono insieme mente e corpo, praticare un’ecologia profonda che valorizzi il nesso tra impermanenza (tutto si trasforma) e interconnessione. «Il silenzio è l’ecologia della mente. Chi ha protetto le foreste? I monaci, lo abbiamo sentito. Forse dobbiamo imparare da loro».
Citando L’Uomo planetario di Ernesto Balducci Viviani ha detto che tutte le religioni devono rifondarsi, sono chiamate a una trasformazione, a una presa di responsabilità. Possono ispirarsi reciprocamente senza creare sincretismi. Il precetto di non nuocere, la nonviolenza, è il primo precetto buddhista che ricorre anche nella tradizione induista.
Adnane Mokrani ha sottolineato l’esigenza di guarigione delle religioni da malattie come il populismo, il fondamentalismo, il nazionalismo, la religione come ideologia di guerra e distruzione, il razzismo e il tribalismo religioso. «La religione è come il sangue che porta vita e anche virus. Come purificare le religioni soprattutto dalla tentazione del potere e del dominio, come disarmarle? La loro conversione è fondamentale». Il teologo si è soffermato sulle nuove teologie che rispondono alle sfide della modernità, alle quali appartiene la teologia della nonviolenza. «Essa non può essere ridotta ad attivismo politico per resistere al colonialismo o alla dittatura. È un modo inclusivo di pensare e di vivere che esige una teologia disarmata e disarmante. La teologia può essere un’espressione o uno strumento di potere. La teologia della nonviolenza, invece, mira a liberare la teologia da ambizioni di potere e orientarla al servizio di tutta l’umanità, tutto il creato. In questo caso la missione della religione è vista come un atto di umanizzazione e di liberazione da ogni forma di violenza».
Alla teologia della nonviolenza appartiene l’ecoteologia «che elabora tre antichi discorsi: la cosmologia, l’antropologia e la teologia in senso stretto. Il filo conduttore tra questi tre discorsi è la teologia mistica, che è spesso narrativa e poetica». Passando alle prassi ecologiche, Mokrani ha portato il caso dell’Indonesia. «In Indonesia, così come in Amazzonia, le foreste sono molto importanti, sono il polmone dell’umanità. Ci sono scuole tradizionali che hanno la quarta parete aperta sulla foresta. Un esempio di attivismo ecologico, a Kyahi, è quello di un maestro che ha lottato contro il tentativo di una multinazionale che voleva distruggere la foresta. Per impedire questo atto devastante l’insegnante ha creato una catena umana che ha adottato uno slogan molto significativo: “Non toccare quell’albero”. Quelle parole non si rifanno solo ad Adamo ed Eva nel libro della Genesi, ai quali è stato vietato di prendere frutti dall’albero della conoscenza del bene e del male, ma dicono che la sacralità della foresta è tale perché da essa dipende la sopravvivenza dell’umanità». Mokrani ha citato anche le buone prassi delle eco-moschee, luoghi di culto che utilizzano fonti di energia rinnovabile, gestiscono l’acqua e il cibo in modo sostenibile, riducono e riciclano i rifiuti e tengono corsi di educazione ambientale.