Si restringe il tempo per la prevenzione, il punto di rottura è sempre più vicino, la malattia può diventare incurabile. Entriamo in uno spazio incognito. Marco Marchetti, ordinario di pianificazione ecologica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, membro del Tavolo di studio Custodia del creato della Cei, è intervenuto lunedì pomeriggio alla sessione del Sae di Camaldoli nel panel “Leggere la crisi, tra scienze e vissuti”, a fianco della politologa Debora Spini, della New York University in Florence. La relazione del docente si è articolata sulle tre grandi crisi attuali: la crisi climatica, la crisi della biodiversità e le diseguaglianze sociali nel mondo. Citando la definizione bergogliana che vede nei cambiamenti climatici antropogenici «un peccato strutturale scioccante», Marchetti ne ha esemplificati alcuni come le notti tropicali previste in tutta Italia questa settimana, le alluvioni, le tempeste e le ondate di calore che hanno visto un aumento di più 1,75 gradi oltre la media. «Il fatto nuovo è il ritorno di visioni antiscientifiche che mettono in dubbio una serie di certezze rispetto a quello che sta succedendo. La scienza ci dice che il cambiamento dell’uso del suolo e le energie fossili sono le due cause principali della crisi ecologica, eppure continuiamo a non agire. Cos’altro serve per smuoverci in maniera sostanziale?».
Il docente è conscio che i rilievi sulle situazioni estreme possono causare agnosticismo, rassegnazione o indifferenza, ma «non si può tacere in questo frangente. Non stiamo praticando né la mitigazione né l’adattamento. Se arriviamo a più tre gradi a fine secolo molte cose non si potranno adattare. Siamo lontani dagli obiettivi che ci siamo dati. Oceani e foreste sono serbatoi naturali importantissimi capaci di bloccare gran parte delle emissioni climalteranti, ma noi li trattiamo come fossero risorse infinite».
Altri dati sono allarmanti: la gran parte della popolazione mondiale vive al di sopra delle proprie capacità, soprattutto le comunità urbane. «Già nel 2012 il 68 per cento viveva in città, che sono le prime vittime e i primi carnefici del cambiamento climatico, dei rifiuti, dell’inquinamento e delle malattie. Siamo sicuri che la recessione economica e la pandemia siano i problemi più grandi?».
Un altro tema toccato da Marchetti, grande e pericoloso dal punto di vista politico, è il venire meno della fiducia nelle istituzioni. «Dopo ogni Cop, l’ultima a Dubai, nonostante gli impegni presi alcuni mesi dopo assistiamo a delle retroazioni a colpi di insostenibilità che passano sotto silenzio e che fanno aumentare l’indifferenza o il pessimismo di chi cerca invece di essere presente su questo tema. Ecco perché il papa stesso nella Laudate Deum 43 ha detto che non sarà più utile sostenere istituzioni che preservano il diritto dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti. È proprio quello che è successo a Dubai. Come fai a dire “fidatevi” ai ragazzi di Friday for future?».
Di fronte alla Laudato si’, definito «il documento più bello della mia vita», il docente si chiede: perché i parroci dagli amboni non ne hanno mai parlato? Su un altro fronte, Marchetti rileva un ritorno di forme di negazionismo complesso e di fatalismo; non più solo greenwashing, ma greenhushing, cioè l’occultamento dei problemi. Altri aspetti della crisi sono le guerre, l’erosione della biodiversità, la cementificazione delle pianure fertili, la forbice tra ricchi e poveri sempre più grande – il tentativo al G20 di Lula di tassare i miliardari non è riuscito –, i problemi di produzione del cibo, la savanizzazione dell’Amazzonia, gli incendi nelle foreste boreali.
L’analisi sulle tenebre, infine, ha lasciato trapelare alcuni segnali di luce. A livello globale, l’Unione europea ha fatto un’inversione di rotta e ha istituito l’obbligo dal 1° gennaio 2025 della tracciabilità dei prodotti alimentari. In Colombia è stata decisa la riforma agraria con l’assegnazione di terre ai contadini. Iniziative locali dal basso collegano istanze personali e collettive. A Roma c’è una serie di comunità a supporto dell’agricoltura che si impegnano a togliere il cibo dalla catena del profitto attraverso l’autoproduzione. «È un granello di senapa, ma importante – ha concluso Marchetti –. La direzione auspicata è verso un “antropocentrismo situato” che non pensi solo alla crescita e al benessere, ma al buon vivere e alla responsabilità».