Con le conclusioni della presidente Erica Sfredda e del teologo Simone Morandini del Comitato esecutivo si è conclusa sabato a Camaldoli la 60a Sessione di formazione ecumenica del Sae.
«Alla Sessione c’è stata una presenza multipla - ha detto Sfredda -: membri del protestantesimo in diverse denominazioni, dell’ortodossia e del cattolicesimo. Provenivano dalla maggior parte delle regioni italiane, con il Veneto numericamente in testa. Il 16 per cento dei partecipanti era sotto i 35 anni». C’erano studenti di teologia e di altre discipline, tre seminaristi, due famiglie con bambini piccoli, delegati diocesani per l’ecumenismo e il dialogo, membri dei gruppi locali del Sae e di associazioni ecclesiali, due coppie pastorali, alcuni partecipanti e relatori originari di altri paesi: Brasile, Germania, Romania, Perù, Tunisia, India. La partecipazione è stata vivace nei gruppi di lavoro e nei dibattiti seguiti alle conferenze e alle tavole rotonde. La colletta raccolta durante le celebrazioni è stata devoluta a Neve Shalom-Wahat al-Salaam, l’oasi di pace abitata da israeliani e palestinesi. Il banchetto di artigianato di Vanna Gnocchi ha finanziato due borse di studio dedicate a studenti e studentesse per la partecipazione alla prossima Sessione di formazione ecumenica.
Simone Morandini ha sottolineato la varietà di linguaggi con cui è stato trattato il tema: teologia, scienze ambientali, economia, diritto, etica, buone pratiche. Si sono incontrati sguardi sul divino e sul mondo diversi ma convergenti sul tema della cura. Il dialogo è stato un inter-fecondarsi. Sono emersi i “no” al ponte sullo Stretto e a certe modalità di sviluppo, e i “sì” a utopie e a nuovi stili di vita. Le Chiese non sono ancora unite totalmente, ma insieme possono convenire e convergere nell’attesa di poter celebrare insieme l’Eucaristia.
Per Erica Sfredda la sessione è stata «una grande benedizione di contenuti e di affetti. Tornare alle notizie tremende di questo periodo sarà doloroso ma non saremo soli, il Dio grande dei cieli e della terra non ci abbandona. Accanto alla consapevole responsabilità e all’impegno ci è richiesta la gioia e la riconoscenza verso il Signore. Siamo riconoscenti anche verso la Comunità monastica che ci ha accolto in questo luogo».
Nell’assemblea dei partecipanti, con molte presenze che hanno espresso osservazioni puntuali, la Sessione è stata apprezzata come «momento di grandissima cultura e di grande conoscenza tra le persone soprattutto a tavola», «un’occasione per incontrarsi tra diversi, che significa ricchezza, caratterizzata da una preghiera viva». Il Sae è stato visto da un pastore avventista come «un’impresa che va oltre. Se dovessi tornare in Perù mi piacerebbe portare questo modello». Una voce musulmana ha detto: «Ho trovato vivacità, allegria, diversità, nuove chiese: il dono del Sae per l’Italia è una grande ricchezza e vorrei contribuire a questa realtà». Per un seminarista cattolico «la relazione ecumenica ti mette in discussione e ti fa andare oltre le categorie».