11 marzo 2016
«Sono arrivati con poche cose, pieni di paura e di speranza» osserva Paolo Naso mentre guarda i 93 immigrati siriani - di cui 41 bambini – scendere da un aereo proveniente da Beirut, il 29 febbraio.
«Sono fuggiti dalle persecuzioni dello Stato islamico e dalla violenza di una guerra che non risparmia né le donne né i bambini, né i civili», spiega Paolo Naso, consigliere della Tavola valdese e coordinatore delle relazioni internazionali di Mediterranean Hope, il vasto progetto tracciato dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) per accompagnare l’arrivo dei migranti.
Mentre aiuta a tenere uno striscione sul quale è scritto: «Benvenuti in Italia», ascolta le espressioni di persone esauste per tanti anni di lotta.
«Mi sento come un albero sradicato - dice Mariam, matriarca di una famiglia numerosa che è vissuta quattro anni in un campo di rifugiati – alla ricerca di una nuova terra nella quale mettere le radici»
Mariam e altre persone vivevano nel campo di Tel Abbas, che era servito e preso in carica unicamente da un gruppo di volontari italiani associato a «Operazione Colomba», un progetto dell’Associazione comunitaria papa Giovanni XXII.
Uno dei figli di Mariam era stato contattato da dei traghettatori. «Noi avevamo pensato di fare il viaggio con loro» ha raccontato, fino a che ricevettero un messaggio che li informava che un membro della loro famiglia era morto nel Mar Egeo tentando di raggiungere l’Italia.
«L’anno scorso, in novembre, sono andato a Tel Abbas e la domanda che mi ponevano era sempre la stessa: c’è un mezzo legale per raggiungere l’Italia?», riferisce Paolo Naso. Allora la sua risposta era segnata da una fiducia prudente. Egli era coinvolto nella creazione di «corridoi umanitari» un progetto organizzato dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, la comunità religiosa Sant’Egidio e il governo italiano.
Mentre si lavorava per le formalità amministrative, passaggio obbligato per stabilire i corridoi umanitari, lui stesso e l’équipe facevano pressione sul governo italiano, perché stabilisse una più grande distribuzione di visti umanitari, non riuscendo mai a cancellare dalla loro memoria l’immagine di coloro che avevano incontrato nel campo. «A ogni riunione davanti a funzionari che ponevano domande e sollevavano problemi di legalità, i nostri pensieri andavano sempre a quelle persone incontrate nel campo, alle loro attese e alle promesse che avevamo loro fatte» prosegue Paolo Naso.
Gli immigrati che sono arrivati questa settimana hanno potuto prenotare un volo offerto dall’Alitalia, e Paolo Naso, mentre sente parlare i bambini, ha fretta di comunicare ciò che dicono. Egli esorta anche al sostegno e alla preghiera continui.
«Perché non si porta la nostra tenda in Italia?» chiede un bambino che non ha mai vissuto in una casa e non ha mai dormito in un letto vero?
«Io riceverò delle cure – spera un ragazzo chiamato Diyar, che, all’età di dieci anni, ha perso una gamba a causa di una granata.- E potrò forse avere una nuova gamba».
Diyar avrà sicuramente la sua gamba, conferma Paolo Naso, ciò grazie a una fondazione che offre una protesi sofisticata.
Egli aggiunge che i corridoi umanitari potranno servire da modello pratico, come esempio che i cambiamenti politici possono impedire che delle vite vadano perdute. «Diamo un forte messaggio di speranza a questa Europa dei muri, dei fili spinati e delle espulsioni, un messaggio positivo per le comunità cristiane che hanno cercato di fare, in maniera ecumenica, ciò che è necessario. Ci auguriamo che questo messaggio possa far cambiare i dirigenti di Bruxelles e l’opinione pubblica italiana».
(comunicato stampa del CEC in inglese del 9 febbraio 2016)
Per maggiori informazioni;
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