Vite in relazione: la bioetica si interroga
“La presentazione si propone di esaminare in modo sintetico, dalla prospettiva della teologia ortodossa, le questioni fondative della bioetica”, ha esordito Bute. “Oggi, il luogo fondamentale dell’agire profetico è l’etica, e con essa sempre più la bioetica, come etica della vita minacciata sempre di più dallo stesso ‘progresso’ unilaterale, orizzontale e immanente dell’uomo”. Questa etica della vita è chiamata a vegliare in modo profetico ore eterno della persona, e sulla vita dei più deboli che sono spesso le vittime innocenti della superbia della odierna “cultura della morte.” La dimensione profetica dell’etica cristiana significa innanzitutto non essere conforme alla mondanità transeunte, ma conformarsi alla Parola eterna. “Nel distinguere il bene dal male così confusi nei loro confini per l’etica chiusa di fronte al trascendente, la bioetica cristiana - ha sottolineato il relatore - deve rivendicare la necessità di cambiare in maniera profetica il paradigma stesso dell’esistenza umana tenendo conto della sua verità integrale, divino – umana.
L’etica senza la vita eterna – ha detto ancora Bute - è un’etica debole, senza verità, senza valore e sostanza che non può varcare la soglia dell’immanenza. “E quando l’etica perde forza e valore la terra diventa l’inferno del debole” (B. Petrà). Quest’inferno non diventa paradiso semplicemente attraverso le regole e i principi etici volti a salvaguardare la vita umana nella sua dimensione biologica, “regole e principi che mantengono nell’uomo la sua autonomia presuntuosa. Il mondo degli uomini non è uno spazio neutro fra l’inferno e il paradiso, ma è o l’inferno o il paradiso e a volte tutti due insieme. Il mondo diventa paradiso solo nello Spirito della Vita e della Verità. E se a volte il mondo diventa un inferno per l’uomo stesso che lo genera, la via di scampo è quella che Dio ha rivelato all’inizio del secolo scorso a Silvano del Monte Athos: tieni la tua mente all’inferno e non disperare e sentirai la dolcezza e la pienezza dell'amore di Dio, giacché non c’è paradiso per l’uomo se non nell’amore di Dio”.
A partire da un rapido rimando alla storia della formazione della disciplina “bioetica” e al suo carattere strutturalmente interdisciplinare, Ilenya Goss ha focalizzato il tema Etica della vita come etica nella relazione,indagando il rapporto tra etica medica, filosofia morale e teologia. La ricerca di orientamenti etici condivisi a fronte del mutamento culturale e sociale del mondo occidentale nella seconda metà del Novecento conduce alla constatazione dell’impasse in cui si trova la disciplina rispetto alla sfida del pluralismo e alla presenza degli “stranieri morali” (H.T. Engelhardt jr.). Superando la semplificazione dualistica delle etiche dei paradigmi (sacralità della vita vs qualità della vita) che non rende conto della reale complessità delle prospettive sviluppate, viene proposto un progetto di lavoro rivolto all’elaborazione di percorsi che ridimensionano la portata “principio” in bio-etica, e assegnano la priorità alla relazione come luogo autentico in cui si gioca la costruzione di significati. Prima che di decisione si tratta infatti di lettura e discernimento del senso di fronte alle situazioni di conflitto etico suscitate al crocevia delle possibilità biotecnologiche e del vissuto personale. La relazionalità umana, lo studio della responsabilità come specificità del “farsi carico” e del “partecipare” alla vita dell’altro e degli altri nella realtà pubblica, sono evidenziati da Goss come “caratterizzazioni specifiche dell’impegno in etica della vita”; la specificità della proposta cristiana viene infine rivendicata come necessità, al pari di altre proposte sulla scena pubblica, in vista di un superamento del pluralismo ragionevole (riferimento a Rawls).