Nel pomeriggio di lunedì 27 luglio hanno trattato del rapporto dei cristiani col popolo ebraico tre relatori: Marco Cassuto Morselli, presidente Amicizia Ebraico-Cristiana - Roma, Annarita Caponera, presidente del Consiglio ecumenico delle Chiese di Perugia e docente di ecumenismo e dialogo interreligioso presso l’Istituto Teologico di Assisi, Ilenya Goss, laureata in Filosofia e in Scienze bibliche e teologiche e membro della Commissione bioetica della Chiesa Valdese.
Il moderatore Piero Stefani ha introdotto l'argomento con alcune premesse:
Il SAE si è definito al suo sorgere “Movimento interconfessionale di laici impegnati nell’ecumenismo a partire dal dialogo ebraico –cristiano”.
Accennando soltanto al fatto che poi è prevalsa la tendenza a parlare di dialogo cristiano – ebraico - il fatto andrebbe giustificato – Stefani ha sottolineato che proprio in questo “a partire da” si pone l’originalità storica e di metodo del SAE.
I due elementi costitutivi del movimento sono legati, ma al tempo stesso distinti. Basti pensare a come si coniuga diversamente il principio basilare dell’azione ecumenica che è: “ciò che ci unisce è più importante di quello che ci divide”, mentre nel rapporto con gli ebrei quello che unisce è dentro a quello che divide e viceversa, vale a dire la figura di Gesù.
La scelta della frase di Barth: “Esiste, in ultima analisi, un unico grande problema ecumenico: quello della nostra relazione con il popolo ebraico” mette in rilievo che la natura stessa della Chiesa – e quindi delle Chiese – non si può definire a prescindere dal rapporto con il popolo ebraico.
Un discorso a parte si deve fare per le Chiese ortodosse. A questo proposito il moderatore riporta alcune osservazioni fatte da Vladimir Zelinskij a Bologna (16-01-2008) in un incontro di commento al documento Riconoscere Cristo nel suo popolo, di cui egli è primo firmatario:
Nella Chiesa ortodossa le radici comuni con l’ebraismo “non sono ancora state scoperte. Meglio dire, sono teologicamente e praticamente dimenticate dal III-IV secolo. Il dialogo ufficiale tra l’ortodossia e l’ebraismo non si è ancora articolato […].
L’espressione ‘Gesù è ebreo’ è diventata il titolo non solo di qualche libro teologico, ma avvenimento della coscienza e della fede per i cattolici e anche per i protestanti. L’ebraicità di Gesù è ormai cosa ovvia che non viene discussa più, come la Sua corporeità, la Sua appartenenza linguistica e religiosa. Da noi non si parla di queste cose come se non esistessero […]
Il nucleo della teologia ortodossa è la trasfigurazione con l’azione dello Spirito. Per scoprire Gesù storico, dobbiamo scoprire anche il motivo teologico e soteriologico per il quale la Sua storicità potrebbe e dovrebbe servire alla nostra vocazione di futuri cittadini del Regno dei cieli, che non ha niente in comune con la storia […]
Il dialogo del cristianesimo ortodosso con l’ebraismo almeno a livello ufficiale non si è ancora manifestato nemmeno come problema interiore […]. Tale dialogo, però, almeno nella Chiesa ortodossa russa procede di nascosto nei cuori di migliaia di cristiani ortodossi di origine ebraica”.
Marco Cassuto Morselli ha iniziato dicendo: "È la seconda volta che partecipo a una Sessione del SAE. Nel 1992 sono stato a La Mendola, invitato da Maria Vingiani, e in quell’occasione insieme a Giacoma Limentani abbiamo fatto memoria del V Centenario del Gerush, l’espulsione degli Ebrei dalla Spagna. Insieme al Pastore Martin Cunz ho partecipato a un seminario su Romani 9-11. Vorrei qui ricordarlo con affetto: sia il suo ricordo in benedizione!".
Ha passato in rassegna diverse tappe del passaggio da parte delle chiese cristiane da una politica “conversionistica” verso gli ebrei a un rapporto dialogico, soffermandosi ampiamente sulla Conferenza dell’International Council of Christians and Jews (Consiglio Internazionale dei cristiani ed ebrei - ICCJ), che si è svolto a Roma dal 28 giugno al 1° luglio in occasione del 50° anniversario di Nostra Aetate, durante il quale papa Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti rivolgendo loro un importante discorso.
Annarita Caponera, nella prima parte dell’intervento, analizza i motivi storici, contingenti ed ecclesiologici, che inducono la Chiesa ad occuparsi dei rapporti con l'ebraismo.
Avanza alcune riflessioni su come il destino di Israele si incroci con quello del cristianesimo non solo come luogo storico del sorgere della Chiesa, ma anche e soprattutto come luogo ermeneutico della coscienza delle Chiese.
Il modello del rapporto fra Chiesa e Israele, o meglio fra Israele e le genti va cercato nella riflessione di Paolo contenuta in Romani 9-11.
Ripercorrendo alcuni documenti delle chiese protestanti sul tema del rapporto tra cristianesimo ed ebraismo, Ilenya Goss mette in evidenza la sua importanza per l’identità cristiana e conseguentemente la rilevanza ecumenica del dialogo ebraico-cristiano.
Ad una prima parte più storica segue la trattazione di tre temi teologici di grande rilevanza per l’identità cristiana in relazione all’ebraismo; il riconoscimento di Israele come popolo dell’alleanza mai revocata, l’esegesi cristiana della Bibbia ebraica, e il rapporto tra l’ebraicità di Gesù e la cristologia.
Viene dedicata un’ampia attenzione al pensiero paolino espresso in Romani 11, anche attraverso gli studi recenti di J. Dunn sulla teologia del patto e sull’immagine dell’innesto del ramo di olivo selvatico sull’olivo buono come metafora del rapporto tra chiesa cristiana e Israele basato sulla partecipazione all’unico patto mai revocato.
Al tema: A cinquant'anni da Nostra Aetate è dedicato un gruppo di studio