La relazione finale della Sessione è stata dettata da Enzo Bianch, priore di Bose, e da Paolo Ricca teologo valdese.

La relazione di Bianchi si è articolata in due punti: 1- La profezia come qualità del popolo di Dio (o la chiesa come realtà profetica) e 2 - Un' invocazione per i profeti.

  1. Nel Primo Testamento emblematici sono l’episodio narrato nel libro dei Numeri (Cf Nm 11, 24-40), la discesa dello Spirito del Signore sui settanta uomini anziani scelti da Mosè e la profezia di Gioele (3,1): "Io effonderò il mio Spirito sopra ogni carne e diventeranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni". "La chiesa nata dalla Pentecoste ha interpretato come realizzazione finale di queste profezie la propria realtà comunitaria di credenti in Gesù di Nazaret. Attraverso il Cristo Gesù, il profeta più che profeta, il dono della profezia è stato comunicato a tutto il popolo di Dio. Nel Nuovo Testamento saranno attestati molti profeti e profetesse, la profezia sarà tra i carismi essenziali della chiesa, al secondo posto, dopo l'apostolato e prima dell'insegnamento, e i profeti avranno un posto nella comunità accanto ad apostoli e maestri (Cf Rm 12, 6-8; Ef 4,11). Più in generale tutta la chiesa, partecipando alle qualità del Signore risorto, è una realtà messianica, profetica e sacerdotale”. In estrema sintesi “il profetismo ecclesiale è di ordine battesimale, si nutre del sensus fidei presente in ogni cristiano e nell'intero popolo di Dio e si esplicita nella parola del Vangelo annunciata, testimoniata e vissuta nella compagnia degli uomini." Sempre nella storia cristiana ci sono stati uomini e donne riconosciuti tali per la loro testimonianza e la loro persecuzione subita a causa del Vangelo. “Si tratta di uomini e donne che vedono più lontano della comunità, consapevoli che la chiesa non è il Regno di Dio e che il Regno di Dio veniente va atteso e predicato; uomini e donne abitati in modo particolare dallo Spirito santo, che precedono i loro fratelli e sorelle nel discernimento dei segni dei tempi".
  2. Però dalla metà del II secolo d.C. non si è più previsto un posto per i profeti, anche se essi non sono mai mancati. Nella complessa ambiguità della storia il profeta legge l'umanizzazione come cammino verso il Regno e da visionario scruta la trasfigurazione in atto di tutta la realtà cosmica". Il profeta "non conosce la tattica e la prudenza ecclesiastica, e la sua parola causa tensioni, anche conflitti, in quanto parola bruciante, detta 'a tempo e fuori tempo' (2 Tm 4,2), pronunciata con la libertà che gli viene dall'avere la Parola del Signore come unica egemonia nella sua vita". Per questo il profeta va incontro a incomprensione, sofferenza, persecuzione. "Si crea perciò attorno al profeta una tensione, quella espressa da Paolo VI ai pellegrini di Bozzolo, dove esercitò il suo ministero don Primo Mazzolari: "Aveva il passo più lungo del nostro e noi faticavamo a stargli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. È la sorte dei profeti!" Che ci sono anche oggi, ma non toppo numerosi.

 

Il prof. Ricca ha iniziato con un grande ringraziamento ai presidenti Maria Vingiani, Elena Covini, Meo Gnocchi e Marianita Montresor che hanno accompagnato la vita del SAE, “questa iniziativa ecumenica unica in Italia”.

Il suo intervento ha toccato 4 punti.

I. La figura e la solitudine del profeta. Il profeta è di solito un uomo solo. Non è un uomo di successo, viene sovente osteggiato, perseguitato. Elia si rifugia nella caverna dell’Oreb, Geremia viene imprigionato, Giovanni Battista è una voce che grida nel deserto e Gesù non viene ascoltato soprattutto nella sua patria. Quindi profezia vuol dire andare incontro a un destino difficile, amaro.

II: Lo spirito profetico come spirito ecumenico. L’ecumenismo cioè è la profezia oggi. Profezia che non è nata oggi, ma è giovane, appena nata se la confronta coi i mille anni di separazione tra Oriente ed Occidente e i 500 anni di separazione tra cattolici e protestanti nella chiesa di occidente. Il profeta è un uomo o una donna sul confine tra l’oggi e il domani, tra il presente e il futuro. Il profeta è il portavoce di Dio che dice oggi quello che Dio sta per fare domani. E’ chi vive l’oggi come se fosse già domani. Questo è ciò che accade nello spirito ecumenico dove noi viviamo le nostre appartenenze confessionali insieme alla nostra appartenenza ecumenica e queste due appartenenze si confrontano, si accavallano.

III. L’immagine profetica del poliedro. Adoperata dal papa con i pentecostali, suggerisce l’idea di una unità nella diversità. “Perché il poliedro è uno ma ha molte facce, molti lati anche diversi tra loro e quindi rappresenta bene l’unità della chiesa, ma anche l’unità della famiglia umana che è nello stesso tempo una e plurale. Quest’immagine si pone, mi sembra, in una silenziosa antitesi con l’immagine dei cerchi concentrici utilizzata da Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam Suam, nella quale il cerchio più esterno è quello dell’umanità, di ciò che è umano, poi c’è un altro cerchio che è quello di credenti in Dio, poi c’è un terzo cerchio che è quello dei fratelli separati e tutti questi cerchi ruotano per così dire intorno al centro che è il luogo in cui “la mano di Dio ci ha posto”, cioè Roma. Roma diventa il centro visibile non solo del cattolicesimo, non solo del cristianesimo, ma del mondo, non solo del mondo religioso”. L’immagine del poliedro ha un duplice valore: “Il primo è di illustrare l’unità e la diversità, l’unità non come uniformità. Il secondo è invece di illustrare che questo poliedro ha naturalmente un centro, ma invisibile, non si può localizzare. Il poliedro è un’immagine molto bella dell’unità della chiesa, e io direi anche del mondo, che non è quello di Roma, ma è un centro invisibile che è Cristo”. 

IV.  Il profeta è disarmato. “Egli non ha altra arma cha la parola, non ha neanche l’arma del numero perché è sempre minoranza, non ha potere e i potenti della terra non glielo danno, quindi è un uomo disarmato in un mondo armato fino ai denti. Non soltanto con armi di ogni tipo, dal pugnale alla bomba all’idrogeno, ma anche con sentimenti di odio con parole violente, assassine, con pensieri di morte. Anche queste sono armi. Il profeta invece è disarmato perché vuole disarmare l’uomo, perché lo vuole umanizzare. L’uomo armato, corazzato non è ancora veramente uomo e ritengo che il problema fondamenta di oggi sia l’umanizzazione dell’uomo. Evangelizzare oggi significa principalmente umanizzare, perché il livello di disumanità dell’uomo cresce in maniera esponenziale”. Conclude dicendo che “se lo spirito ecumenico è lo spirito profetico e lo spirito profetico ci spinge sul confine, adesso comprendiamo che il confine fondamentale e decisivo è quello tra umanità e disumanità e dove il confine si sposta dalla disumanità all’umanità lì soffia lo spirito di profezia”.