Alla sessione del SAE, la lode, il ringraziamento, la supplica, la richiesta di perdono si elevano con preghiere preparate ad hoc , ma anche si celebra una Messa cattolica, il culto di Santa Cena evngelico e i Vespri ortodossi.
Quest'anno abbiamo recitato anche le Lodi di rito romano cattolico, nella versione monastica della comunità di Bose presente ad Assisi.
Martedì 26 luglio alle ore 18,30 l’arcivescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, Domenico Sorrentino, ha presieduto la celebrazione della liturgia eucaristica per i convegnisti.
“Tempo di passione, quello di Geremia – ha detto nell’omelia (Ger 14,17-22) – Vocazione di passione. Passione per Dio, e passione per il popolo di Dio. Di fronte alla tragedia dell’infedeltà, e al pericolo imminente, conseguenza del peccato, il profeta è stato inviato a “sradicare e demolire, piantare ed edificare”. Ma le sue parole sembrano inutili. Anzi, risultano fastidiose”. Ma questo è il “destino dei profeti. Per giunta è chiamato a lottare con la concorrenza sleale di falsi profeti che emettono oracoli vani, fatti per oscurare le coscienze, impedendo la presa di coscienza e il pentimento. Di fronte a una tale situazione, non ci sono che lacrime. Le lacrime del profeta, ma che sono insieme le lacrime di Dio. Molte parole, nel contesto di questi capitoli, sono parole di un Dio adirato”. Ma “si tratta della sofferenza di un amore incorrisposto, che non si rassegna fino a che non ha riconquistato l’amato. Sullo sfondo di queste parole di Dio c’è la teologia dell’alleanza, nella sua forma più calda, che è la teologia dell’amore sponsale. E così si accavallano le descrizioni della calamità, della tragedia, della morte e della distruzione. A prima vista è la “vendetta” di Dio. In realtà, è una medicina. È il cuore di un Dio che spera. Usa anche modi bruschi, ma pur sempre paterni, pur di riavere buon gioco nella partita d’amore con i suoi figli”.
Nel Vangelo (Mt 13, 36-43) “troviamo la luce che Gesù getta sul grande ‘perché’ di questa tragedia che affligge il popolo di Dio, e che è un capitolo della grande tragedia in cui versa l’umanità intera.
La parabola della zizzania seminata in mezzo al buon grano ci riconduce all’opera creatrice e salvatrice di Dio. Dalle mani di Dio tutto è uscito buono. C’è un amore che precede la creazione e una storia di amore che la accompagna. Tutto quello che siamo e che abbiamo è il campo seminato da Dio, dunque seminato dall’amore.
Tutto è nato buono, e non perde mai il DNA di questa originaria bontà, nonostante le nostre mancanze. È per questo che siamo chiamati, nonostante tutto, a lodare e a ringraziare.
Contro i manicheismi che ci fanno dividere a priori il mondo in bianco e nero, e contro i catastrofismi che ci fanno solo lamentare e disperare, dobbiamo sempre ricordare il fondo di bontà che Dio stesso ha plasmato, preserva e conserva gelosamente, perché l’uomo abbia sempre un punto dal quale ripartire. Questa fondamentale bontà, frutto della creazione e della redenzione, fa sempre i conti, anche nella storia della Chiesa, con il mistero del male.
Il Culto di Santa Cena, la sera di giovedì 28 luglio, è stato presieduto dal pastore Luca Maria Negro, Presidente della FCEI. Il sermone è terminato con una sottolineatura concreta. “L’invito di Dio che ci giunge attraverso il Deutero-Isaia è un invito articolato: a consolare un popolo in esilio, ad annunziare la liberazione imminente ma al tempo stesso a soccorrerlo concretamente, preparando nel deserto una via per il Signore”. Lasciata l’analisi del testo, il Pastore si è soffermato sui “corridoi umanitari”. In una situazione completamente diversa, quella dell’odierna crisi migratoria, come Federazione delle chiese evangeliche in Italia abbiamo sentito questo invito profetico – Consolate/soccorrete, annunziate e preparate la via del Signore - come se fosse rivolto a noi, oggi. Quasi tre anni fa, il 3 ottobre 2013, circa 300 migranti morirono in un naufragio al largo dell’Isola di Lampedusa. In quella circostanza come FCEI decidemmo di lanciare il progetto “Mediterranean Hope” – Speranza per il Mediterraneo, e di aprire proprio a Lampedusa un osservatorio permanente sulle migrazioni, che ha aperto i battenti nel mese di maggio del 2014. Un osservatorio per essere testimoni diretti di queste tragedie del mare, per gridare la nostra denuncia all’Italia e all’Europa, ed in particolare alle chiese cristiane; ma anche un modo per esprimere la nostra solidarietà alla coraggiosa e accogliente popolazione di Lampedusa.
In questi due anni i nostri operatori, insieme ad altri volontari, hanno passato molte notti al molo dell’isola, in attesa dell’arrivo di centinaia e centinaia di migranti salvati dai soccorritori ma anche, purtroppo, dell’arrivo di tante salme di persone morte durante la traversata in quello che gli antichi chiamavano “Mare Nostrum” ma che in questi anni è diventato un mare estraneo, pericoloso, ostile, un deserto d’acqua, un mare di filo spinato. Non a caso nei suoi disegni il nostro operatore Francesco Piobbichi lo disegna sempre come una distesa di filo spinato. E’ proprio scrutando questo deserto d’acqua con l’ansia di chi aspetta una tragedia annunziata che le parole di Isaia ci sono venute in mente: ci siamo detti che dobbiamo fare qualcosa per preparare la “via del Signore”, per garantire un passaggio sicuro attraverso queste “acque desertiche” almeno ad alcuni di coloro che fuggono dalla guerra e dalla povertà.
Siamo ben coscienti che quello che possiamo fare è aprire una strada per poche persone, appena mille richiedenti asilo in due anni. Ma questo progetto ecumenico, che stiamo realizzando con la Comunità di Sant’Egidio e con il sostegno economico dell’otto per mille delle chiese metodiste e valdesi, vuole essere un segno concreto che un’altra via è possibile ed è replicabile, sia in Italia che all’estero; che i muri, gli steccati, i fili spinati, i barconi della morte e i trafficanti di esseri umani non avranno l’ultima parola. Un piccolo segno concreto che si affianca all’annunzio dell’Evangelo e alla denuncia del male e dell’ingiustizia, nell’attesa che, quando Dio nelle sue vie insondabili lo vorrà, si realizzi la promessa della sua Parola e si riveli la gloria di Dio e la vedano “insieme tutti gli esseri umani, perché la bocca di YHWH ha parlato”.
Momento forte di presa di coscienza delle nostre responsabilità è stata la preghiera di Confessione di peccato.
La colletta, come quella delle altre liturgie della settimana, è stata destinata all’iniziativa dei corridoi umanitari.
La liturgia vespertina del 28 luglio si è svolta nella basilica superiore di S. Francesco, con la celebrazione dei Vespri Ortodossi guidati da Gabriel Codrea, prete ortodosso romeno.
Recitati in lingua italiana, i vespri ortodossi - “guida saggia per vivere nel mondo” - hanno coinvolto intensamente l’assemblea. P. Codrea ne ha spiegato percorso e significati profondi. “I vespri sono la preghiera della sera, ma si collocano all’inizio della giornata liturgica. All’inizio c’è una benedizione a Dio, seguita da un’esortazione ad adorare e prosternarsi a Dio, del salmo 103, con il quale ci meravigliamo, ci stupiamo d’avanti all’opera di Dio Creatore, e davanti alle bellezze del mondo; ma, soprattutto, ci ricorda che tutto ciò che abbiamo, a parte il peccato, è un dono di Dio (S. Agostino). Se dimenticassimo che tutto è un dono, allora la nostra anima tacerebbe. Se lo ricordiamo, anche quando il nostro canto si interrompe, nelle nostre profondità continua a risuonare la lode e a salire verso il cielo. Il vespro chiama a pregare per la pace del mondo, per il prossimo, per l’abbondanza dei frutti della terra, per la salubrità dell’aria. La bellezza del mondo creato da Dio ci “costringe” a prendere atto della nostra caduta, della nostra lontananza da Dio; ci costringe ad aprire gli “occhi della nostra mente” e ci prepara per la conversione, per tornare all’essenziale. Ed ecco, il salmo 142: Signore, aiutami, vieni a soccorrermi! E subito arriva in soccorso “la luce gioiosa della santa gloria del Padre celeste – Cristo Gesù.”, il vero uomo ed il vero Dio, in cui tutte le cose sono state recapitolate – il Salvatore. In pochi minuti, la liturgia dei vespri ci insegna come vivere in questo mondo; qual è il cammino sicuro verso la santità”. Insegnano che la prima cosa che dobbiamo fare in ogni giorno, è benedire Dio”. Poi “insegnano a godere della vita: “L’uomo dovrà render conto di tutto ciò che i suoi occhi hanno visto e di cui egli non ha goduto!” (Proverbio Talmud). Ancora “ricordano che siamo dei poveri peccatori, bisognosi della misericordia di Dio, e che dimentichiamo spesso di essere semplici. Insegnano a non perdere l’orizzonte della nostra vita spirituale – Cristo Gesù e di “seguire nudi un Cristo nudo”. E non per ultimo, la liturgia dei vespri ricorda che in questo mondo è bene rimanere umili, che siamo chiamati ad un continuo riformarci, sia come persone, che come chiese, a ritornare all’essenziale cristiano”. Ha concluso ricordando l’affermazione del martire Bonhoeffer: “Fratelli, state attenti! La grazia non è a “buon mercato”!