Pastori nella notte
Un parto spontaneo avviene a qualunque ora del giorno, alla sera come al mattino, di notte come a mezzogiorno, all'alba come al tramonto. Grosso modo si conosce il tempo, ma non l'ora. Il nascituro non è vincolato ai ritmi che regolano la società. Nascere è sempre un venire alla luce anche quando attorno è buio.
Si deve al Vangelo di Luca la collocazione notturna della nascita di Gesù. Anche il terzo evangelista ne parla, peraltro, in modo indiretto: «Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio. C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2, 6-8). A essere esplicitamente nella notte sono i pastori che vegliano perché le loro greggi sono esposte al pericolo. Loro furono i primi a ricevere il lieto messaggio: «ecco vi annuncio una grande gioia oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore» (Lc 2, 11). Celebrare il Natale comporta tanto far risuonare il buon annuncio nel buio di una lunga notte quanto riempire di luce («la gloria del Signore li avvolse di luce» Lc 2,9) chi veglia in un mondo che conosce il pericolo.
I pastori sono persone che vegliano per proteggere pecore inermi. Lo fanno all'aperto e nel buio: «inoltre sono di notte nella campagna, cosicché sono disprezzati e ignorati dal mondo, che dorme di notte e passeggia volentieri di giorno; essi rappresentano tutti gli umili, che conducono sulla terra una vita povera, disprezzata e di nessun conto, e abitano soltanto sotto il cielo, in potere di Dio: costoro sono pronti a ricevere il Vangelo.» (Martin Lutero, L'Evangelo della Messa di Natale, 1522). Celebrare la nascita di Gesù quando è buio è un simbolo, non un oggetto di contrattazione. L'evangelo della nuova nascita va proclamato a ogni ora del giorno.
«Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente, o Signore, venne dal tuo trono regale». Con queste parole la liturgia cattolica delle ore introduce il Magnificat nel giorno di Santo Stefano. La notte è mancanza di luce, il silenzio assenza di suono. L'una e l'altra realtà sono sospese tra essere un puro vuoto e diventare un nido capace di accogliere luce e Parola. Il silenzio diviene opprimente quando in noi mancano parole capaci di fronteggiare una realtà oscura e pericolosa; in tal caso occorre ammetterlo, senza rifugiarsi in una pavida afasia che ripropone stancamente frasi ormai logore. Solo se si ha il coraggio di guardarla così com'è, la notte della nostra povertà, delle nostre paure, e delle nostre incertezze potrà trasformarsi in nido capace di accogliere la luce e la Parola che ci giungono dall'alto. In questo periodo, strano per molti e drammatico per troppi altri, abbiamo udito dalle Chiese pochi messaggi capaci di ammettere di non aver parole, al fine di affidarsi nudamente alla Parola che viene a noi abbandonando il suo trono regale.
L'antifona al Magnificat deriva da un testo molto duro del libro della Sapienza, i versetti originari collegano infatti la mezzanotte all'atto di sterminio abbattutosi sull'Egitto (18, 14-16). A Betlemme i pastori ascoltarono un'altra parola: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). «“Pace in terra”. Infatti, come deve esservi discordia dove non è gloria di Dio (come dice Salomone [Pr 13,10]: “inter superbos”, tra i superbi ci sono sempre contese), così inversamente: dove è la gloria di Dio, ivi certamente è pace» (Martin Lutero).
In questo Natale sfidato dall' oscurità, da pericoli e da tante difficoltà, auguriamo alle Chiese di Gesù Cristo di domandare concordemente al Signore il dono di renderci tutte e tutti pastori capaci, nella notte, di vegliare e di accogliere l'evangelo.
Anna, Daniela, Donatella, Piero e Stefano